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Preti in tv, tra realtà e fiction

Senza andare troppo indietro nel tempo e scomodare i Borgia che di carnalità se ne intendevano e sono tornati recentemente sia sul piccolo che sul grande schermo, uno dei primi preti televisivi, attratto dai piaceri della carne, è stato l’indimenticabile padre Ralph (Richard Chamberlain) in Uccelli di rovo. Titolo vagamente malizioso e inquietante per una serie che ha spopolato sia negli USA che in Italia, su Canale 5, proprio per la prestanza del protagonista e le tematiche scabrose. Fece scalpore, nel lontano 1983, l’amore carnale tra il prete dalle forti ambizioni personali e la donna dalla quale ebbe anche un figlio, con tanto di finale drammatico. La medesima rappresentazione del “prete” combattuto tra amor sacro e amor profano la si ritrova anni dopo, nel 2008, nella fiction Io ti assolvo: un peccaminoso Gabriel Garko dà “il meglio del peggio” nella figura di padre Francesco. quasi un “confratello” di padre Ralph.
Spesso, nel racconto televisivo, all’aspetto sensuale, se ne aggiunge un altro non meno inquietante: le frequentazioni del prete con il paranormale, con poteri occulti e potenze soprannaturali. E’ l’altro aspetto del prete per fiction, ovvero il sacerdote che rappresenta il contraltare di Don Matteo. Ne abbiamo visto, di recente, un esempio classico nella serie di Canale 5 Il tredicesimo apostolo: padre Gabriel, il protagonista, si muove in atmosfere dark tra ombre e misteri, nasconde poteri soprannaturali, ed è in cantatto con entità sconcertanti. Insomma è il prete che nessuno vorrebbe incontare sulla propria strada. Ma padre Gabriel (Claudio Gioè) è “bello e impossibile” e, con il suo fascino inquietante, si divide tra esaltazione religiosa e il richiamo dei sensi.
Accanto a questi modelli, si schiera un’altra generazione di preti per fiction: quelli rispettosi della missione a cui sono stati chiamati, affidabili, dall’appel familiare, del tutto aderenti alla propria vocazione. In quest’ambito si colloca in primis Don Matteo, discendente dei vecchi cari pretini della tv in bianco e nero, primo tra tutti, il rassicurante padre Brown interpretato da Renato Rascel nella serie I racconti di Padre Brown ispirati ai celebri racconti dello scrittore Chesterton. Semplice e furbo, dotato di una mente pronta e penetrante, e uno spirito intuitivo, che gli consente di gareggiare in astuzia con i più abili poliziotti e delinquenti, ha tuttavia l’anima d’un poeta e il cuore di un fanciullo. Erano gli anni Settanta. Don Matteo si avvicina al suo “antenato” ma non ne ha certo lo spessore e la profondità psicologica.
Ambito, cercato, inseguito come una perla da inserire nel proprio curriculum professionale, il ruolo del sacerdote per fiction è un traguardo da raggiungere. Molti attori hanno voluto indossare la tonaca : da Gigi Proietti a Massimo Dapporto, da Giulio Scarpati a Flavio Insinna. Personaggi rassicuranti di cui Terence Hill è la rappresentazione più nazional popolare ad uso e consumo del grande pubblico di Rai1.
Ma c’è un altro aspetto da sottolineare: salvo qualche eccezione, come Don Matteo, nel racconto televisivo, difficilmente i protagonisti sono preti di età matura. Sacerdoti anziani non hanno ruoli determinanti, spesso sono solo comparse accanto ai “colleghi” giovani. Nella realtà, invece, la tv ha avuto un grande protagonista in Monsignor Ersilio Tonini. Nonostante la sua veneranda età, il religioso ha frequentato il piccolo schermo, con innata chiarezza espositiva, illustrando il messaggio evangelico, utilizzando correttamente la funzione comunicativa del piccolo schermo: qualità che gli hanno conquistato consensi unanimi anche da parte dei laici. Una presenza mai ingombrante, un religioso “reale” il cui spessore culturale rende ancora meno credibile, il ruolo, sia pur amatissimo dal pubblico, di Don Matteo
Terence Hill ha continuato la tradizione del “prete detective” già propria di padre Brown. Ma c’è una domanda da porre agli sceneggiatori: è possibile che, in piccoli centri come Spoleto o Gubbio, dove Don Matteo esercita il proprio ministero, possano accadere, così frequentemente, tanti casi di cronaca nera da spingere il prete di campagna a diventare una sorta di investigatore come Maigret o Poirot?
Intanto il filone del prete detective coinvolge anche i “conventi televisivi” delle suore. Per mancanza di idee da parte dei produttori e degli autori. Per timore di sperimentare nuovie idee. Sul modello vincente del prete in bicicletta più imitato della settimana enigmistica, è nata Suor Angela: Elena Sofia Ricci, nella serie Che Dio ci aiuti, interpreta una suora moderna, giovanile, tutta dedita alla propria missione ma con un passato burrascoso e con il debole per le indagini. Un debole assai evidente anche in altre serie, tra cui Madre aiutami con Virna Lisi. Persino un’attrice di spessore come la Lisi non ha esitato a indossare più volte la tonaca, alternando, nelle religiose interpretate, la suora cattiva e la suora buona. Ma senza rinunciare al ruolo investigativo.
Le suore detective, sul piccolo schermo, hanno comunque radici profonde. Basti pensare, ad esempio alla serie francese Suor Therese trasmessa in Italia prima su Retequattro e, successivamente, in replica su La7. Protagonista un’ex poliziotta che, dopo la separazione dal marito, si dimette e si ritira in convento. Qui, naturalmente, si trasforma in segugio sulle tracce degli assassini. Una Sherlock Holmes in gonnella, o meglio in abito talare che, senza dubbio, ha fatto scuola e ha rafforzato l’interesse per il connubio tonaca- investigazione.
Da sottolineare, infine, la presenza dei soliti stereotipi: a indossare l’abito talare sono sempre donne dal passato difficile o vittime di delusioni sentimentali. Ulteriore prova della mancanza di idee da parte degli sceneggiatori che ripropongono tout court gli ammuffiti schemi dell’antico feuilleton.

L’ultima stagione televisiva è stata quella che, forse, ancor più delle precedenti, ne ha mostrato i molti segni di stanchezza.
Inaugurata a settembre con Politics-Tutto è politica, che nelle intenzioni avrebbe dovuto rinnovare il genere, si è invece conclusa non solo con la chiusura dello stesso Politics, ma anche de La Gabbia Open e L’Arena. Dopo mesi di confronti serrati, spesso litigi, sono caduti sul campo Gianluca Semprini, Gianluigi Paragone e Massimo Giletti: nessuno di loro tornerà alla conduzione dei propri programmi.
Una moria trasversale alle reti, alle declinazioni del genere, e persino ai risultati d’audience. A tal proposito infatti, va sottolineato che se lo share di Politics e La Gabbia languivano, quello de L’Arena insidiava e teneva testa alla domenica di Barbara D’Urso.
Negli anni i talk show si sono moltiplicati, spaziando attraverso politica, cronaca, attualità, intrattenimento. Grazie ai loro costi bassi sono state coperte prime e seconde serate, pensati i palinsesti: politici e ospiti in promozione, in studio senza compenso, hanno consentito di realizzare prodotti televisivi a budget ridotto. Ne è conseguita una pluralità di programmi presidiati a turno dagli stessi esponenti politici, opinionisti, giornalisti.
La stagione 2016-2017 ha inoltre segnato, definitivamente, il consolidamento di un nuovo trend. I segnali si erano già avuti in precedenza, ma è nei mesi scorsi che è divenuto realtà effettiva: si tratta dell’arrivo dell’intrattenimento nei talk politici. Perché se è vero che per le reti è conveniente produrli, è altrettanto vero che i risultati elettorali dimostrano quanto la contemporaneità sia caratterizzata da una forte sfiducia nei confronti dei nostri rappresentanti.
In un periodo in cui i partiti, o meglio la politica in generale, hanno perso credibilità, non si può certo contare sul loro appeal per tenere i telespettatori incollati davanti allo schermo. Per ovviare al problema perciò, si è cercato di puntare sui personaggi dello spettacolo: invitandoli a dare la propria opinione, oppure riservando loro un apposito segmento per sponsorizzare i lavori in uscita.
Matrix ha persino affidato una serata a Piero Chiambretti, che si è alternato a Nicola Porro. E Bianca Berlinguer con #Cartabianca ha ottenuto il picco di ascolti con Flavio Insinna, quando il volto di Rai 1 è arrivato nello studio di Rai 3 per difendere la propria immagine dagli attacchi di Striscia la notizia. Un dato indicativo, questo.
Data la loro convenienza economica, i talk show torneranno anche nella stagione al via a settembre. Inflazionati, ne sarebbe opportuno un ripensamento: la ridefinizione dovrebbe interessare sia i contenuti che il format, per evitare l’impressione di programmi uno fotocopia dell’altro.
In questo senso va citato come virtuoso l’esempio di Nemo-Nessuno escluso. Nato come programma di approfondimento, Nemo è riuscito gradualmente a conquistare telespettatori e guadagnarsi la riconferma: pur non essendolo in senso classico, gli autori vi hanno inserito alcuni elementi del talk, grazie alla presenza di ospiti e interventi mirati.
Di certo la soluzione non può essere quella attuale, che consiste nel prolungamento a notte inoltrata per racimolare briciole di share.
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