Dal 27 al 29 settembre torna Puliamo il Mondo, una delle più interessanti iniziative di volontariato ambientale organizzata in Italia da Legambiente in collaborazione con la Rai. Anche quest’anno, nell’ultimo week-end del mese, migliaia di volontari si impegneranno per ripulire strade, piazze e sponde dei fiumi dai rifiuti e rendere le città e gli spazi all’aperto dove sono i monumenti più belli, vivibili e puliti.
Marco Ferreri non avrebbe mai immaginato, nel 1973, che il suo film La grande abbuffata (La grande bouffe) dopo 40 anni sarebbe divenuto il simbolo di una inquietante tendenza televisiva: l’overdose di trasmissioni culinarie. I quattro personaggi della pellicola decidono, liberamente, di chiudersi in una villa per lasciarsi morire, ingozzandosi di cibo.
Allo stesso modo i telespettatori, nelle loro case, anch’essi volontariamente, vengono allettati, a tutte le ore del giorno, da ogni sorta di pietanze proposte da una pletora di imbonitori televisivi. Con il rischio di perdere di vista che “si mangia per vivere, non si vive per mangiare”. La pericolosa overdose di trasmissioni culinarie, presentate in tutte le salse, il richiamo ai fornelli di personaggi impensabili come Maria De Filippi e Simona Ventura, persino il coinvolgimento dei bambini tra pentole e coperchi, nascondono il profondo disagio del piccolo schermo. Mancano idee nuove e si ricorre alla reiterazione di schemi vecchi e monotematici. La tv non è più in grado di rigenerarsi all’insegna di una nuova filosofia creativa. Chiudersi nelle cucine (non solo made in Italy) è il segno di una debacle totale. La tv si brucia al fuoco dei suoi fornelli nella ricerca affannosa del gradimento di pubblico. E riutilizza vecchi format come fossero gli avanzi di un pranzo riciclati da una casalinga parsimoniosa che, nella realtà televisiva non esiste. Al contrario, ci sono autori, produttori e direttori di rete che investono milioni di euro su progetti spesso fallimentari. Un esempio per tutti: La terra dei cuochi, il discutibile cooking show di Antonella Clerici
Aggrapparsi all’ancora della tele-cucina, come mezzo di sopravvivenza, per le tv generaliste, satellitari e del digitale terrestre, nasconde un’altra inquietante verità: in tempi di crisi economica, quando il futuro si preannuncia sempre più incerto e a volte manca persino il necessario, la ricerca del cibo, anche in tv, ripropone il bisogno primordiale dell’essere umano. Vederlo, “assaporarlo” con gli occhi, costituisce una certezza per le fasce meno abbienti anche se non riusciranno mai a trasferire sulle loro tavole l’opulenza delle tavole televisive.
Nel pubblico meno giovane, che ha vissuto i disagi dell’ultimo periodo bellico, l’attuale crisi fa scattare l’angoscia di una nuova carestia alimentare. Gli spettatori delle ultime generazioni, invece, considerano coking e talent show come un gioco. Non si preoccupano della parsimonia nella scelta degli ingredienti, abituati ad avere il superfluo, non si scandalizzano del dispendio economico necessario per allestire le tele-cucine e ignorano le difficoltà quotidiane di chi soffre per la crisi economica ed è attento alla spending review. Sfogare le proprie frustrazioni economiche nell’abbondanza di trasmissioni culinarie significa costruire una sorta di immaginario collettivo nel quale tutto si trasforma in una dimensione onirica. La tele-cucina ha lo stesso impatto di una romantica soap opera dinanzi alla quale si sogna per allontanarsi da una poco gratificante routine quotidiana.
E così siamo arrivati alla serata finale delle blind audition per The Voice. Questa sera i quattro coach, Raffaella Carrà, Riccardo Cocciante, Piero Pelù e Noemi, completeranno le loro squadre, ognuna delle quali avrà 16 aspiranti cantanti.