Il bel Pif però alla Festa del Cinema ha portato un ottimo prodotto cinematografico, che firma in lungo e in largo: come attore protagonista, regista, coautore del soggetto e della sceneggiatura. La pellicola – seconda fatica per il grande schermo dopo “La mafia uccide solo d’estate”, presto in tv rielaborata come serie – si intitola “In guerra per amore”. E’ una produzione Wildside con Rai Cinema e sarà nelle sale dal 27 ottobre, distribuita da 01. Un’opera corale e d’impegno economico, per le scene articolate e affollate di comparse e per i tanti set girati all’esterno, in Sicilia.
Già, la Sicilia. E la mafia. E’ il nocciolo del film, che, sottolinea Pif, è una sorta di prequel della sua pellicola d’esordio. Vi si racconta di un lavapiatti originario dell’isola, Arturo, che lavora – è il 1943 – a New York e che è perdutamente innamorato di Flora (l’espressiva Miriam Leone), pure lei siciliana e affidata oltreoceano a uno zio amico di mammasantissima. E infatti la bella è promessa al figlio di un boss ma non ne vuole sapere. Per uscirne suggerisce ad Arturo di carpire il permesso a sposarla al padre, che vive in un paesetto della lontanissima Trinacria. L’ingenuo ma caparbio spasimante non ha i soldi per il viaggio ma trova l’escamotage. Si arruola nell’esercito statunitense che sta organizzando lo sbarco in Italia. E proprio nella sua isola maggiore. Un evento che cambierà la storia non solo del mondo, ma, nell’ottica in cui lo racconta Diliberto, della Sicilia, dell’Italia e della Mafia.
Sta qui l’originalità e l’interesse del film. Perché gli autori sollevano il coperchio su retroscena poco conosciuti e indagati. Ovvero su come la sbarco alleato in Sicilia sia stato preparato, attuato e completato con una stretta intesa degli americani – dai governanti ai vertici dell’Us Army – con i mafiosi. I quali assicurano ai soldati arrivati a Gela per mare e per cielo la conquista senza colpo ferire dell’isola e così il varco nello Stivale, la sconfitta del fascismo e del nazismo. Insomma, la fine del Secondo Conflitto Mondiale, delle dittature che lo avevano generato, nonché l’avvio sotto il paravento della democrazia della Guerra Fredda e dello strisciante conflitto con l’Urss.
Argomenti ponderosi, j’accuse precisi, come nell’epilogo del film, allorquando criminali di Cosa Nostra vengono insediati sulle poltrone del potere locale proprio dagli yankees, come argine al Comunismo e sotto lo scudo della Democrazia Cristiana. Solo che cotanto fardello di eventi poco studiati il nostro Pif lo porta sulle spalle della narrazione cinematografica con l’ironica levità che lo contraddistingue. Ecco, il 10 luglio 1943, il comico “sbarco” di Arturo catapultato nel paesetto da un elicottero e per giunta in sella ad un asino con il quale, complice il paracadute, invade la stanza da letto di una illibata ragazzotta. Ecco il duo locale del cieco e dello sciancato (Antonello Puglisi e Samuele Segreto, una rivisitazione della coppia Ciccio e Franco, pur se depurata dagli eccessi surrealmente buffoneschi) che fanno evolvere la vicenda malgrado loro stessi. Ecco i siparietti di Arturo il quale fa da interprete tra i locali schiavi del dialetto stretto e il tenente Catelli (un intenso Andrea Di Stefano), che nella struttura del plot ha il ruolo di coscienza critica della disinvolta strategia stelle e strisce.
Sarà proprio la sua schiena dritta a diventare esempio per il disarmante Arturo, permettendogli di fare il salto dalla cura dei propri piccoli interessi – trovare il padre di Flora per ottenerne il sì alle nozze – all’etica del bene comune e della trasparenza. Resterà solo, Arturo, in questa metamorfosi civile. Il resto è unicamente compromesso, che vede affermarsi lo strapotere di Lucky Luciano, referente dell’Us Army e in sostanza della Casa Bianca, al quale fanno da contraltare, al di là dell’Oceano, i giovani Ciancimino e Michele Sindona, incoronati appunto come reucci della politica locale.
“L’argomento del film era assolutamente inedito – spiega Pif – anche se, in fase di scrittura, abbiamo pensato che forse stavamo ragionando con un’ottica di osservatori dei nostri giorni, dotati di un sentire antimafia che all’epoca non esisteva. Dubbi svaniti quando, durante le nostre ricerche, abbiamo scoperto a Londra un documento originale recentemente desecretato. Il cosiddetto Rapporto Scotten, dal nome dell’ufficiale al quale nel ’43 fu chiesta una relazione sul Problema della Mafia in Sicilia. In quelle carte si valutava l’opportunità di combattere la mafia per tenerla sotto controllo, oppure quella di accodarsi e allearsi con Cosa Nostra, ipotesi che avrebbe creato danni incalcolabili di cui il futuro avrebbe presentato il conto, o infine quella di abbandonare l’isola alla mafia e chiudersi in enclave. La lucidità di questa analisi, per cui gli americani e gli inglesi erano pronti a scendere a patti con Cosa Nostra, ci ha colpito molto. Inoltre dai documenti dei servizi segreti americani risulta evidente che la mafia non è stata considerata come un’organizzazione da tenere alla larga ma come un interlocutore alla pari”.
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Pif, dicevamo, ha affrontato questi nodi con ironia, approccio che determina quell’effetto di straniamento, di ammiccamento allo spettatore che è una costante del suo fare spettacolo, anche in pubblicità. Una cifra tutta sua. Unita a intelligenti trovate, come lo “scontro” tra due simulacri di coccio antitetici, una Madonna e un Mussolini, che una popolana devota e un fascista fino alle midolla si portano rispettivamente nel rifugio antiaereo, litigando su chi debba passare per primo di quegli “dei” entrambi con le braccia tese, che si incrociano come quelle dei Pupi. Sarà proprio la statua del Duce a soccombere: buttata da una finestra dal suo proprietario infine schifato dalla dittatura, resta impigliata a testa in giù al filo del bucato, in una chiara allusione al Mussolini di Piazzale Loreto. Citazione alla quale molte altre si affiancano, come nell’inquadratura che vede il soldato Usa Arturo-Pif accovacciato accanto a un minuscolo vecchio che gli indica la strada con un lungo bastone. Al pari della foto simbolo dello Sbarco in Sicilia, firmata da Robert Capa.
Nei titoli di testa compare anche una dedica: “A Ettore Scola”. Che probabilmente gli ha insegnato a essere irridente e al tempo stesso testimone dell’attualità, passata e presente. Rivela Pif: “Sarebbe stata la prima persona alla quale avrei mostrato il mio film, ne abbiamo parlato mentre giravo, voleva venire sul set”. Intanto, incamera gli applausi del pubblico.