Dopo una cena in famiglia a casa della fidanzata Martina Ciontoli, morì per un colpo di pistola sparatogli – in circostanze a tutt’oggi poco chiare – da Antonio Ciontoli, padre di Martina, mentre era nella vasca da bagno.
Franca Leosini ha deciso di intervistare proprio Antonio Ciontoli per far luce su quello che è stato uno dei casi a colpire maggiormente l’opinione pubblica negli ultimi anni.
Nella prima parte dell’intervista, andata in onda domenica 30 giugno, era emersa in tutta la sua assurdità la condotta della famiglia Ciontoli.
Per lunghe decine di minuti dopo il ferimento di Marco Vannini, nessuno chiamò i soccorsi. Pensavano di potersela cavare da soli – ha raccontato Ciontoli – e anche per questo cercarono di omettere quanto effettivamente successo. Ai soccorritori avevano poi raccontato di un incidente in bagno per via di una scivolata su un pettine appuntito, compromettendo la loro possibilità di salvare la vita a Vannini con un intervento adeguato.
In questa seconda parte dell’intervista, ci si aspettava che Franca Leosini andasse ad approfondire con decisione incalzante proprio le zone opache del racconto emerse in prima battuta. Una concatenazione di eventi e comportamenti, quella riferita da Ciontoli, talmente anomali da poter sembrare dubbi.
La Leosini lo ha fatto, ma con un ritmo e un’ostinazione meno marcati del previsto. Ha chiesto conto all’intervistato delle incongruenze e delle perplessità di alcuni passaggi, rinunciando però al susseguirsi incessante che spesso ha riservato ai suoi interlocutori.
La maggior lentezza e la scelta di porre le domande inflessibili ma non serrate sono sembrate figlie di una deliberata volontà di allontanarsi dallo stile della gogna mediatica con cui spesso si è trattato il caso in questi anni. Solo il tentativo di sviscerare in maniera chiara la posizione di Antonio Ciontoli, per la prima volta in assoluto davanti alle telecamere.
Ne è venuta fuori un’intervista in alcuni passaggi apparentemente sbilanciata verso la riabilitazione dell’accusato, ma efficace nel far emergere il punto di vista lontano dal clamore, dalla rabbia e da un certo istinto giustizialista.
Forse lo è stata meno nel portare a galla elementi davvero inediti delle vicenda.
Di seguito, potrete ripercorrere la diretta della seconda parte dello speciale di Storie maledette sul caso Vannini.
Il racconto riprende dalle 03:10 del 18 maggio 2015, l’ora esatta della morte di Marco Vannini al PIT – Posto di Primo Intervento di Ladispoli.
Antonio Ciontoli: “Sono fermo a quel maledetto giorno del 2015. Da quel momento la mia vita non ha più un senso, perché sono consapevole di quanto male ho fatto a tutti”.
Poi, continua, azzardando una richiesta di perdono a Valerio Vannini e Marina Conte, i genitori di Marco Vannini: “Oggi lo scopo della mia vita è quello di cercare un piccolo spiraglio da parte dei genitori di Marco. Che possano provare misericordia e perdono per me. L’unica cosa che può consentire di sopravvivere a quel poco che resta della mia dignità”.
Le domande di Franca Leosini riprendono da un’intercettazione ambientale emersa all’inizio del processo, in cui Martina Ciontoli parla dell’omicidio come se lo avesse vissuto in prima persona, al contrario di quanto sia lei che suo padre hanno sempre detto. Secondo l’intervistato, Martina stava semplicemente raccontando il fatto e nel farlo aveva deciso di dargli quel taglio, mescolando ciò che aveva visto in prima persona nel bagno con quanto le aveva raccontato lui.
Nel passaggio successivo, Franca Leosini chiede conto a Ciontoli delle voci – inizialmente considerate attendibili – secondo le quali lui e sua moglie in realtà non fossero in casa, la sera dell’omicidio. L’insinuazione conseguente è che a sparare fu il figlio Federico. “Fantasia macabra. Non aggiungo altro”, risponde Antonio Ciontoli.
Ma la giornalista insiste, riportando le dichiarazioni di alcuni vicini di casa.
Una donna dice di non aver visto l’auto di Antonio Ciontoli, se non dopo lo sparo.La spiegazione – per Ciontoli – è che la macchina fu semplicemente spostata per permettere l’intervento dell’ambulanza, per questo prima non era visibile e poi sì.
Un’altra, Vittoria Esposito, riporta delle urla di Martina ancora prima dello sparo. Diceva “Lo vedi papà?!”.
Dopo, invece, lo stesso Marco alternava urla strazianti a presunti “Scusa, Marti!”, difficilmente spiegabili a fronte di una dinamica come quella testimoniata.
Secondo Ciontoli, in realtà Marco Vannini urlava “Scusa, Massi!”, riferito al suo datore di lavoro. Il perché Marco avrebbe dovuto scusarsi con il datore di lavoro, dice di non saperlo spiegare. E giudica le dichiarazioni e i comportamenti dei vicini contraddittori, dunque non affidabili.
“Allora perché le ricostruzioni alternative convergono tutte su suo figlio Federico?”, chiede Franca Leosini. Ciontoli dice di non saperselo spiegare, anche perché tra Federico e Marco c’era un rapporto cordiale.
La stessa Marina Conte – madre di Marco Vannini – in un’intervista rilasciata a Domenica In il 23 settemrbe 2018 sostenne che a sparare fu Federico. Secondo lei c’era stata una discussione tra Marco e Martina che poi aveva coinvolto i famigliari.
Franca Leosini legge il rapporto dei RIS riportato nella sentenza di condanna di Ciontoli. In particolare si concentra sulle analisi “Stub” degli investigatori, chiamate a stabilire chi sparò, attraverso la rilevazione delle particelle di polvere da sparo sul corpo e sugli indumenti dei presenti: confermano che effettivamente fu Antonio Ciontoli a premere il grilletto.
“Si aspettava la condanna a 14 anni in primo grado? Le sembrava giusta”, chiede Franca Leosini. Antonio Ciontoli: “No. Perché io davvero credevo che il colpo avesse ferito Marco solo sul braccio. In nessun modo, mai, avrei potuto volere la morte di Marco“.
Il secondo grado di giudizio ha cambiato – e di molto – le cose: condanna a 5 anni di carcere per Antonio Ciontoli, accusato non più di omicidio volontario, bensì di omicidio colposo.
Chiede Franca Leosini: “Ciontoli, quanto vale una vita umana?”. L’intervistato risponde: “L’ergastolo”.
La sentenza fu seguita da proteste veementi sia dalla famiglia di Marco Vannini, in aula, sia da parte dell’opinione pubblica.
Manifestazioni e iniziative contro la sentenza si susseguirono a Ladispoli, mentre sui social network ci fu un vero e proprio linciaggio, una sorta di sollevazione popolare virtuale.
In tv, intanto, le trasmissioni si occupavano quotidianamente del caso, dando molto spazio allo sconcerto dell’opinione pubblica per quella che è stata considerata da molti un’ingiustizia.
La Leosini chiede ad Antonio Ciontoli se, alla luce di quanto detto, era proprio necessario fare addirittura ricorso dopo la sentenza di secondo grado.
Gli avvocati di Ciontoli hanno riferito che la scelta è nata dopo valutazioni fatte esclusivamente sull’impianto giuridico e non di opportunità.
Anche perché Ciontoli davvero non voleva sparare a Marco e i referti medici dicono che l’emorragia si sviluppò tutta internamente, dunque era effettivamente impossibile capire la gravità del quadro.
Sulla conferenza stampa indetta a seguito della sentenza di secondo grado in un hotel di Civitavecchia, sempre gli avvocati specificano che c’era la necessità di difendere Antonio Ciontoli e la sua famiglia da un processo mediatico che stava superando i livelli di guardia, con un accanimento che poteva trasformarsi in pericoli reali.
Riportato sul punto da Franca Leosini, Ciontoli parla della gogna mediatica e del coinvolgimento del figlio Federico: “Davvero non lo so perché tirino in ballo Federico. Mi permetta di dire che se lo strazio di Marina, la madre di Marco, è del tutto comprensibile, lo sciacallaggio mediatico è difficilmente spiegabile”.
A quattro anni dall’omicidio, pochi mesi fa, Davide Vannicola ha rilasciato dichiarazioni pesanti su Antonio e Federico Ciontoli. Ha detto sia che Federico era andato da lui a chiedere la realizzazione di una fondina in pelle per pistola, sia che il Maresciallo Izzo, dei Carabinieri, gli aveva confidato che era stato Federico a sparare.
Vannicola è un artigiano che lavora materiali in pelle a Tolfa (Roma), qualche decina di chilometri lontano da Ladispoli, ma Ciontoli dice di non conoscerlo e di essere stato una sola volta a Tolfa, anni fa.
Il Maresciallo Izzo, inoltre, sarebbe stato chiamato da Antonio Ciontoli (suo conoscente) poco dopo l’omicidio, per azzardare un depistaggio. Izzo è stato anche indagato per favoreggiamento, ma gli elementi raccolti a suo carico finora non sono stati sufficienti a confermare l’ipotesi.
Ciontoli prima nega, semplicemente, la chiamata. Poi ne ammette una all’1:18 – già negli atti del processo – ma a suo dire fatta solo per comunicare al Maresciallo quanto era accaduto, da collega delle forze armate.
Infine, si lascia andare ad uno sfogo. Dice di voler pagare ma soprattutto di voler tornare a sentirsi utile e degno di vivere la sua vita. Spera di poter avere un futuro che ora non vede in nessun modo possibile. “Le colpe per ciò che ho fatto a Marco, alla sua famiglia e alla mia, oltre che a tanti altri sono pesantissime. Quelle che vivo sono sofferenze troppo intime da poter essere dette in tv. Mi sento fragile, vulnerabile e senza nessuna certezza”, conclude tra le lacrime.
“Però, mi permetta di dire, oltre alla sostanza lei ha sbagliato anche la forma, con questo suo continuare a chiamare “stupidata” una serie di atti e comportamenti che hanno portato alla morte di Marco Vannini. Con questo suo preoccuparsi molto di aver perso il suo lavoro, anche di fronte alla morte di Marco“.
“Cosa rimane di lei?” chiede, infine, Franca Leosini.
Antonio Ciontoli: “Non c’è nulla. Solo la colpa e la voglia di pagare. Poi di tornare ad essere utile per le persone a cui ho fatto del male e per la società”.
Ciontoli: “Io sono già oltre tutto ciò. Quando i riflettori si spegneranno su questa vicenda e rimarrà solo il dolore lacerante a cui ho condannato per i giorni a venire i genitori di Marco e poi tutte le persone che amano ‘l’angelo’ Marco – ben conscio che rimarrà la consapevolezza di quanto bello è stato Marco e di quanto avrebbe potuto ancora esserlo – beh, quel mio tragico errore, quella colpa non andranno via”.
Franca Leosini: “In tanti hanno parlato di lei come di una persona molto arrogante e sfrontata…”
Antonio Ciontoli: “Se ne sono dette di tutti i colori su di me. Sono un uomo come tutti, anche in famiglia”.
Franca Leosini: “Cosa è diventata la sua vita e quella di sua moglie? Come vivete, anche se non si può dire dove?”
Ciontoli: “Io e mia moglie viviamo chiusi in casa. Esco solo in orari meno affollati per andare a fare un po’ di spesa. Ma non solo per la pressione mediatica, per non essere insultato – che sarebbe il minimo – ma perché stiamo soffrendo anche noi e quindi è come vivere in un carcere a cielo aperto”.
Leosini: “Da cosa trae sostentamento?”
Ciontoli: “Sono sospeso dal servizio ma ricevo il minimo dello stipendio”.
Leosini: “Come vivono i suoi figli?
Ciontoli: “Sopravvivono. Lontano da noi. Vivacchiano, si arrabattano”.
Leosini: “Glielo dico io, perché noi giornalisti le informazioni andiamo a cercarcele. Le dico che i suoi figli purtroppo non riescono a trovare lavoro per la gogna mediatica che hanno subìto. Escludere questi ragazzi dalla vita è moralmente inaccettabile. Lei non lo avrebbe detto, lo dico io. Questa cosa mi ha toccata profondamente”.
Quale sarà il suo futuro?”.
Ciontoli: “Per me non vedo nemmeno un futuro in bianco e nero. Non vedo proprio un futuro. Al futuro ci penserà Dio. Io cercherò con tutte le mie forze di stare vicino alle persone a cui ho fatto del male. Voglio pagare”.
La seconda puntata di Storie maledette sul caso Vannini finisce qui.