Trainwreck Poop Cruise è un documentario Netflix del 2025, diretto da James Ross. Questa produzione ricostruisce fedelmente il disastro della Carnival Triumph, la nave da crociera che nel 2013 rimase alla deriva nel Golfo del Messico con oltre 4.000 passeggeri a bordo, completamente senza elettricità, aria condizionata né servizi igienici funzionanti. Il film è disponibile su Netflix a partire dal 24 giugno 2025.
Regia, produzione e protagonisti del documentario Netflix Trainwreck Poop Cruise
- Regia: James Ross
- Paesi di produzione: Stati Uniti, Regno Unito
- Durata: 55 minuti
- Produzione: Netflix, parte della serie antologica Trainwreck
- Genere: Documentario, disastro marittimo, inchiesta sociale
Testimoni e protagonisti reali
Il documentario si avvale delle voci e delle esperienze di numerosi testimoni e protagonisti reali, tra cui:
- Michelle Key, una passeggera sopravvissuta che condivide la sua esperienza diretta.
- Jean Cripps, una nonna che affrontava il morbo di Parkinson durante il calvario.
- Fleda Key, Kimberly Townsend e altri passeggeri, che offrono preziose testimonianze dirette degli eventi.
- Gerry Cahill, l’ex CEO di Carnival Cruise Lines, di cui si utilizzano interventi d’archivio per contestualizzare la situazione.
Dove è stato girato?
Il documentario ha preso forma grazie a diverse tipologie di riprese e materiali: gli autori hanno impiegato filmati d’archivio originali della Carnival Triumph, che mostrano la nave e gli eventi in tempo reale. Hanno condotto riprese originali a Mobile (Alabama), il luogo dove la nave alla fine venne trainata, catturando l’atmosfera dell’arrivo. Infine, il team ha realizzato numerose interviste, girate sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito, raccogliendo le voci dei diretti interessati e degli esperti.
Trama del documentario Trainwreck Poop Cruise
Nel febbraio del 2013, quella che avrebbe dovuto essere una rilassante crociera nei caldi mari del Golfo del Messico si trasformò rapidamente in un incubo galleggiante. La Carnival Triumph, una nave da crociera salpata da Galveston, Texas, con a bordo oltre 4.000 persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio, era partita per un viaggio di quattro giorni, promettendo comfort, svago e spensieratezza. Tuttavia, già al secondo giorno, il sogno vacanziero si spezzò improvvisamente.
Infatti, un incendio improvviso divampò nella sala macchine e compromise in modo irreversibile i sistemi principali della nave. A causa di questo grave guasto, l’intera imbarcazione si ritrovò completamente senza energia elettrica: niente propulsione, niente aria condizionata, e cruciale, niente acqua corrente. Di conseguenza, anche i sistemi fognari cessarono di funzionare immediatamente. Quello che seguì fu un lento ma inesorabile declino delle condizioni igienico-sanitarie a bordo, causando un enorme disagio.
Ben presto, i corridoi si allagarono di liquami, costringendo i passeggeri a convivere con un odore nauseante e un’atmosfera irrespirabile. Dal momento che i bagni erano inutilizzabili, l’equipaggio dovette distribuire dei sacchi rossi per i bisogni fisiologici, mentre molti passeggeri furono costretti a rifugiarsi sul ponte per sfuggire al caldo infernale che aveva invaso le cabine. Il cibo, inizialmente abbondante, cominciò purtroppo ad essere razionato, e si cucinava all’aperto, su griglie d’emergenza. L’acqua potabile, sempre più scarsa, divenne oggetto di tensioni crescenti tra i passeggeri.
Nonostante i disperati tentativi del personale per mantenere l’ordine, il disagio si trasformò gradualmente in panico collettivo. Il documentario, attraverso un montaggio sapiente di testimonianze dirette, filmati amatoriali girati dagli stessi passeggeri e analisi tecniche dettagliate, mostra come un singolo evento tecnico abbia innescato un collasso sistemico. Rileva, inoltre, una pericolosa catena di carenze nella progettazione, nella gestione e nei protocolli di sicurezza dell’intera compagnia, mettendo in luce gravi lacune.
L’epilogo
Inoltre, il documentario pone un forte accento sul modo in cui le comunicazioni ufficiali, almeno inizialmente, cercarono di minimizzare l’accaduto, mentre sui social media si moltiplicavano senza sosta le immagini e i racconti drammatici dei passeggeri. Il caso esplose mediaticamente, tanto che la nave si guadagnò il soprannome di “l’inferno galleggiante”, e il suo nome divenne sinonimo di disastro navale.
Alla fine, dopo cinque lunghi giorni alla deriva, la Carnival Triumph venne finalmente agganciata e trainata lentamente verso il porto di Mobile, in Alabama. L’operazione di recupero, trasmessa in diretta da diverse emittenti, fu seguita con apprensione da milioni di spettatori in tutto il mondo, conferendo all’intera vicenda un’aura quasi cinematografica. Sebbene, per fortuna, nessuno perse la vita, l’episodio lasciò una cicatrice profonda nell’immagine pubblica della compagnia, e sollevò interrogativi cruciali sulla sicurezza nelle crociere moderne, spingendo a una riflessione necessaria.
Il documentario si chiude con una riflessione amara ma necessaria: quanto sono fragili le nostre infrastrutture, quando si spengono le luci? E ancora: quale responsabilità dovrebbero assumersi le aziende che governano queste gigantesche città galleggianti, soprattutto in situazioni di emergenza? Infine, il film esplora anche il ruolo pervasivo dei media, capaci non solo di denunciare le criticità, ma anche, in alcuni casi, di trasformare la sofferenza in spettacolo, e l’emergenza in narrazione virale, con tutte le implicazioni etiche che ne derivano.