Interviste
Massimo Cannoletta campione de L’Eredità: vi racconto la mia vita e le mie aspirazioni
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Ecco la nostra intervista a Massimo Cannoletta il super campione de L’Eredità. Dagli inizi di novembre Cannoletta è saldamente ancorato al game show di Rai 1 condotto da Flavio Insinna e prodotto dalla Banijay Italia. Con la sua presenza costante e vincente, anche il gioco preserale di Rai 1 sta incrementando le già alte posizioni nella classifica quotidiana dell’Auditel. Il concorrente, 46 anni, originario di Lecce, ha la capacità di impossessarsi del gioco, soprattutto del Triello, e di proseguire in completa solitudine fino alla ghigliottina conclusiva.
Abbiamo raggiunto il campione in un albergo romano dove è ospite per le registrazioni delle puntate de L’Eredità. Ecco l’intervista rilasciata da Massimo Cannoletta a maridacaterini.it
Massimo Cannoletta intervista al super campione
La sua opinione sull’esperienza finora vissuta a L’Eredità?
E’ stata molto più importante di quanto potessi immaginare. Sono partito da casa con prospettive basse. Mi sono ritrovato in un ambiente stimolante e sereno del quale spero che arrivi al pubblico soprattutto il divertimento. Un ruolo importante gioca anche il padrone di casa con la capacità di mettere a proprio agio tutti i concorrenti. E con il pregio di elargire complimenti quando necessari ma di glissare sulle risposte sbagliate.
Che rapporto ha con gli altri concorrenti?
Ho legato con molti di loro. Con Mirko, grande e temuto campione, sono ancora in contatto. Ed anche con Bice Ghetti. Ci sono contatti con altri partecipanti alla cui limitazione nel gioco, certo, ho contribuito anch’io. Ma tutto è serenamente inquadrato nell’ambito del divertimento, senza mai rancori e dissapori.
I suoi fan sui social la ritengono un sex symbol…
Probabilmente è il potere del piccolo schermo a conferire un certo glamour. Ne sono divertito ma non lusingato perchè non mi riconosco in tale definizione.
Qualche anticipazione sul suo futuro percorso a L’Eredità?
Viviamo alla giornata. Persino alla mia famiglia non svelo nulla per non togliere l’emozione della sorpresa. Mio padre mi telefona ogni giorno come pure mia sorella e mio cognato con i miei due splendidi nipoti ai quali sono molto legato. Loro due mi seguono in molti dei miei viaggi. Adesso mi hanno chiesto di portarli in Colombia appena possibile. Una terra dalla grande tradizione culturale di cui si parla, purtroppo, solo per il narcotraffico.
Massimo Cannoletta e il doppio giro del mondo
Ci racconta come ha fatto per due volte il giro del mondo?
Ho avuto la fortuna di occuparmi di divulgazione, intesa nel più ampio significato, per una grande compagnia crocieristica. Una crociera intorno al mondo dura quattro mesi.Durante i giorni di navigazione io, quotidianamente, tenevo conferenze per far conoscere notizie sulle città in cui stavamo per arrivare, sulle tradizioni e sugli artisti locali. Ma mi occupavo anche di musica sia moderna che antica. Ricordo ad esempio una conferenza di musica barocca completamente sold out. Il mio approccio non è mai accademico, semplicemente divulgativo e familiare.
Qual è la sua dote fondamentale?
La curiosità. Tutto mi interessa e suscita in me desiderio di conoscere e di sapere. Allora leggo, seguo documentari, approfondisco concetti. Ho scoperto anche RaiPlay un mondo sterminato dove la cultura è a portata di clic.
Che tipi di studi ha fatto?
Ho frequentato il liceo classico a Lecce. Poi mi sono iscritto alla facoltà di Scienze politiche. Successivamente ho studiato da solo le lingue che tanto mi appassionano. Ho svolto moltissimi lavori nella mia vita, tutti in viaggio. Lecce rappresenta sempre per me il luogo del ritorno, per poi ripartire di nuovo. Il mio buen retiro.
Con la pandemia da Covid è cambiata la sua vita professionale?
Purtroppo si. Non lavoro dallo scorso mese di aprile. Fortunatamente il montepremi finora conquistato a L’Eredità mi pone in una condizione di maggiore sicurezza economica.
Nel game di Rai 1 con quali criteri seleziona le risposte giuste?
Quando conosco l’argomento non ho bisogno di riflettere. In caso contrario applico un minimo di ragionamento deduttivo. E, se impiego più tempo, cerco di penetrare nella logica degli autori che hanno formulato la domanda.
Come vede il suo futuro all’indomani dell’esperienza a L’Eredità?
Mi dirò: è stato bellissimo partecipare al programma ed essere apparso per lungo tempo in tv. Sarebbe bello restarci. Io mi sento un divulgatore e continuerò su questa strada che mi gratifica e mi è congeniale.
Il suo rapporto con i social?
In me è sempre vivo il desiderio di raccontare. Lo faccio attraverso i miei profili social. Ho un canale Youtube dove carico file audio sempre inerenti a notizie culturali.
Per quale squadra tifa?
Non sono molto amante del calcio. Ma quando sento il grido Forza Lecce, della mia terra, mi si apre il cuore…
Si è chiesto che potrebbe fare per la sua Lecce?
Per me sarebbe un onore contribuire a far conoscere il suo immenso patrimonio culturale.
A proposito: ha pensato mai a scrivere un libro sulle sue avventure di viaggio?
Non ci ho mai pensato. Ma…non è mai troppo tardi
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Interviste
Cuori, intervista a Carmine Buschini: Fausto tra il lavoro e l’amore per Virginia
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Rai 1, nel prime time della domenica, propone la seconda stagione di Cuori. Tra gli attori della fiction c’è Carmine Buschini, che interpreta il personaggio di Fausto e che, in questa intervista, commenta l’esperienza nella serie.
Intervista Carmine Buschini, l’amore per Virginia cambia Fausto
Carmine, nella fiction dà il volto a Fausto Alfieri. Che personaggio è il suo?
“Fausto viene da una famiglia umile e sogna sin da bambino di diventare un cardiochirurgo. Ora, da specializzando, sta concretizzando le sue aspirazioni e vorrebbe contrattualizzare ufficialmente il suo lavoro. Sono il braccio destro di Alberto, che rispetto agli altri mi ha insegnato tanto. A lavoro, però, c’è un nuovo ragazzo che insidia il mio posto”.
Dal punto di vista sentimentale, l’incontro con Virginia lo cambia.
“È vero. Fausto, il mio personaggio in Cuori, è un ragazzo integerrimo, ma poco propenso ai legami sentimentali. Riesce a superare queste difficoltà grazie a Virginia (Bianca Panconi), che fa venire fuori anche la parte che lui non conosceva, facendolo cadere in preda alle proprie emozioni. Fausto indossa una corazza, ma l’amore per Virginia lo cambia, lo rende sensibile, ma comincia a fare delle scelte discutibili”.
Le similitudini con Fausto
Cuori sta ottenendo buoni ascolti. Qual è, secondo lei, l’elemento che appassiona di più il pubblico?
“La qualità. Penso che, da questo punto di vista, quest’anno la qualità sia superiore all’edizione passata”.
Ha qualche punto in comune con Fausto?
“In primis anche io sono nato in una famiglia povera. Lui, con il suo lavoro, ha avuto una sorta di rivincita verso la vita e in questo mi rispecchio. Fare l’attore mi piace da quando ho dodici anni, amo sperimentare sempre nuovi ruoli. Ho avuto la possibilità recitare e sono stato visto dalle persone giuste, che mi hanno condotto poi sui set delle fiction”.
Intervista Carmine Buschini, il successo di Braccialetti Rossi
Ed è così che è arrivato a Braccialetti Rossi. Che esperienza è stata?
“Il personaggio di Leo mi ha dato la notorietà. È stato il mio trampolino di lancio e ora Netflix sta rimandando in onda l’intera serie. Leo mi ha dato consapevolezza ed autostima, oltre alla forza di cui necessitavo in un momento particolarmente delicato della mia vita. Tuttavia, mi piace dare voce a tanti personaggi e non chiudermi in uno solo. Questo è il rischio che potevo correre con Braccialetti Rossi”.
C’è un ruolo che ancora non ha fatto ma che le piacerebbe interpretare?
“Vorrei interpretare un ruolo comico, leggero. Mi piacerebbe riuscire ad affrontare alcune situazioni scherzandoci su. Amo molto la comicità che porto dentro di me e che mi piace chiamare leggerezza”.
Oltre che in Cuori, dove la vedremo in futuro?
“Ci sono molte cose in cantiere. In futuro spero ancora di fare televisione ed arrivare al cinema, che non ho mai fatto”.
Interviste
Renato Bosco: intervista al conduttore di Na Pizza in onda su Sky Uno
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Abbiamo incontrato Renato Bosco, conduttore del programma in onda su Sky Uno “Na Pizza“, che ci ha raccontato come è nata la sua passione per la pizza.
Renato Bosco: intervista al conduttore di Na Pizza
Ci racconti quando è nato il suo lavoro di ricerca. E soprattutto quando si è accesa la lampadina che ti ha fatto arrivare ad essere ciò che sei?
Io penso che quando racconto la mia storia è sempre una storia di treni che passano e la fortuna di salirci sopra. Ero giovanissimo, in una pizzeria di San Martino buon albergo. Ci tengo a dirlo io sono di San Martino buon albergo, sono della provincia di Verona e stavano ricercando un cameriere. Pensa te ho iniziato in sala e per poi per caso o per fortuna il pizzaiolo ha avuto una piccola malattia e si è assentato da quello che era il posto di lavoro. Qui io ho iniziato ad approcciarmi al mondo della pizza e da lì è nata la scintilla che poi per me è stata tutta una ricerca , una voglia di fare e di confrontarmi con questo mondo.
Ha trovato nel suo percorso degli ostacoli da parte dei palati più tradizionali. Se si come li ha convinti ad assaggiare questo tipo di pizza un po’ diversa da quella classica che tutti conosciamo?
Bè sicuramente abbiamo trovato degli ostacoli che però ci aiutano a riflettere. Ma soprattutto ci aiutano a capire la direzione che stiamo prendendo e sono delle grandi opportunità. Non dobbiamo pensare che la critica sia una cosa negativa. Ma è una cosa che ci fa riflettere, ci dà delle giuste direzioni. E secondo il mio punto di vista è veramente importante come convincerli probabilmente assaggiando il prodotto, perché magari uno vede il prodotto che ha un volume, ha una consistenza che magari non è la desiderata, la croccante magari a qualcuno non piace però poi al morso e all’assaggio li convinci immediatamente.
Renato Bosco se dovesse convincere un bambino, un futuro ragazzo che vuole intraprendere questo percorso che cosa gli direbbe e come spiegherebbe la sua definizione di pizza-ricercatore?
Ah bella domanda, è la prima volta che mi viene posta quindi di conseguenza. È uno dei temi un po’ scottanti no, la ricerca di personale. Come poter convincere un bambino, un giovane ad approcciarsi a questo mondo è veramente complesso. Probabilmente dovremmo scendere dal piedistallo anche noi pizzaioli e poter entrare nelle scuole alberghiere e poter approcciare a questo mondo della scuola che è veramente importante. La cosa che direi, lo studio è al primo posto, è importante il sapere. Conoscere la regionalità, la storia, la geografia devono essere veramente il punto di partenza di tutto. E con l’approccio probabilmente come tanti anni fa si entrava nelle scuole per portare la propria esperienza ecco se ci fosse questa possibilità li farei innamorare. Per quale motivo, perché quando ti vedono lavorare poi mettono le mani in pasta sicuramente gli si apre un mondo, quel mondo che normalmente tu vedi dall’altra parte del banco e non percepisci quanto bello è.
Renato Bosco Na Pizza: La sua pizza migliore per chi la cucinerebbe?
La cucinerei per quel bambino che ha detto prima e gli farei una margherita però una margherita fatta bene, quando dico fatta bene vuol dire scegliere gli in gradienti giusti e utilizzare tutti ingredienti italiani.
Ma c’è un ingrediente perfetto senza il quale la pizza non riesce bene?
Direi la farina perchè senza quella…No. Tutti gli ingredienti hanno il suo perché, non saprei oggi dire qual’è l’ingrediente che non può mancare, sicuramente l’ingrediente e direi più importante è la passione, l’ingrediente che ti fai smuovere e ti mette nelle condizioni di creare ogni volta la pizza più buona del mondo.
Parte dal 2 ottobre la seconda edizione del Programma Na Pizza, le chiediamo per i lettori di Marida Caterini.it perché dovremmo vederlo.
Perché vedere il programma?
Perché è un viaggio, è un viaggio con gli amici pizzaioli perché son tutti amici quelli che vengono all’interno del programma. Vedremo due regioni, due visioni diverse del mondo della pizza. Racconteranno il proprio territorio e secondo me vale la pena perché diventa poi meta anche per qualsiasi persona vede il programma poi magari arriva nella regione. Facciamo una ipotesi va nel Lazio, va a Roma, va da Pier perché ha raccontato la sua storia. Probabilmente ha messo gola alle persone che lo vedono.
Interviste
La zampata su Rai 2, parla l’autore e regista Diego Cugia: primo programma condotto da un cane
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Sabato 16 settembre, a partire dalle 17:00, è in onda su Rai 2 e Rai Play La zampata. Il programma è il primo ad essere presentato dal cane Pepito, che nelle otto puntate intervista personaggi dello spettacolo e realizza monologhi. Nel cast della serie ci sono Francesco Pannofino e Ilaria Stagni. La trasmissione è scritta e diretta da Diego Cugia, che in questa intervista presenta il progetto.
Intervista Diego Cugia, come è nato La zampata
Sin dal primo momento, La Zampata ha attirato molta curiosità. Ce ne può parlare meglio?
“La Zampata è un format originale scritto da un animale, perché sogno da sempre di avere, al posto delle braccia, le ali di un albatros. È presentato da un cane vero, Pepito, un bastardo senza tetto né legge. Tra un suo monologo e l’altro ci sono video di rockstar famose ma solo con protagonisti animali, e poi una raffica di zampate contro tutti gli esseri umani che devastano l’ambiente, o fanno sporche scommesse clandestine sui cani, o che mettono a rischio migliaia di specie. L’unico animale senza speranza è l’uomo.
Pepito sarà pure una fiction ma il suo dono della parola è un avvertimento a tutti noi: “Volete estinguervi? Affari vostri, ma noi stiamo evolvendo e, presto o tardi, occuperemo uno studio in via Teulada e rivolgeremo un proclama alla nazione”. Voi temete il dominio di IA l’intelligenza artificiale. Ma IA l’intelligenza animale, è da quella che dovremmo guardarci. Sono secoli che li massacriamo. Presto o tardi ce la faranno pagare. Non a caso il sottotitolo del programma è La rivolta degli animali”.
Come è nata l’idea
Come le è venuta in mente l’idea di dar vita a un programma condotto da un cane?
“Da questa semplice riflessione: vent’anni fa, quando Jack Folla, il mio detenuto nel braccio della morte, lanciava i suoi monologhi ribelli oltre le sbarre, le parole erano ancora come frecce e qualcuna poteva perfino cogliere il bersaglio. Oggi tutte le parole sono vecchie, mancano i grandi esempi, manca l’azione, tutto sembra devalorizzato e smorto. Sentivo il bisogno di un protagonista puro, un esserino muto fino a ieri, un bastardino che ribattezzasse il mondo. Quando Pepito, parlando con una mucca catalana che sta per partire da Barcellona su una nave arrugginita per essere macellata nel Golfo Persico, in mezzo alla strada, senza un minimo di pietà, chiede all’Europa: “avete approvato una norma che stabilisce che noi animali siamo esseri senzienti, era ora! E poi ci mandate a morire selvaggiamente dove gli occhi degli europei non vedono, e lo fate solo perché gli arabi pagano di più?”.
Pepito, ne La zampata, ha anche un altro dono, ci fa riflettere sull’ipocrisia, ci informa con notizie inedite o sottaciute, ma ci fa anche sorridere. Pannofino è così comico che poco ci mancava che il cane si mettesse a ridere. Nell’ultima puntata della prima stagione, il mio anchor dog si presenta anche nello studio di una celebre psicanalista junghiana, Chiara Tozzi. Poverino, è orfano, la cagnolina che gli piace non se lo fila perché non ha il pedegree. In più ha mandato in onda tante di quelle scene strazianti sugli animali che pure a lui è venuta un po’ d’ansia. La seduta d’analisi di Pepito è forse la scena che mi è piaciuta di più”.
Intervista Diego Cugia, la carriera in televisione
Diego, quello con La Zampata rappresenta il suo ritorno in televisione. Come mai è rimasto per tanto tempo lontano dal mondo della tv?
“Sono andato a letto presto la sera. Non bazzico salotti. Sono scorbutico. Sto bene da solo, nella mia casetta nel bosco, in Umbria con il Pepito originale, un Hovawart un po’ aggressivo. Avrei voluto dare la parte a lui ma poi ci avrebbe azzannati tutti. È dolcissimo, poi all’improvviso ti salta addosso. Dietro ogni angolo di casa mia può nascondersi un thriller”.
E per quanto riguarda la radio, invece?
“Due anni fa ho fatto tornare Jack Folla su Radio1, con la mia voce perché Roberto Pedicini è un grande doppiatore e costa, la mia voce costa poco, come un cespo di banane. Però è stato bello. Mi hanno scritto migliaia di aficionados. Poi è arrivato un nuovo direttore. Non mi ha mai neanche ricevuto. Era pure di sinistra, casa mia. Mi verrebbe da dire “parenti serpenti”. Ma sarebbe una cattiveria nei confronti dei serpenti”.
Intervista Diego Cugia, i progetti futuri
In attesa della messa in onda de La Zampata, quali sono i suoi progetti futuri?
“Da un mio libro “Tango alla fine del mondo” (Mondadori) sto trattando i diritti cinematografici con una produzione di Los Angeles. Ma finché non finisce lo sciopero degli sceneggiatori…Però so pazientare. Nei dieci anni che la Rai non mi ha fatto più lavorare ho praticato il Krya Yoga di Yogananda, da solo, nel mio piccolo eremo umbro che però ha un nome planetario: Giove. È stata la disoccupazione più lunga e devastante della mia vita, una situazione orribile, che lo Yoga ha trasformato in oro. Bellissimo. Ringrazio per ogni attimo di meditazione, di silenzio, di gioia, di pace”.
Prima di terminare l’intervista, mi permetta una curiosità. Che fine ha fatto Jack Folla?
“Non lo so, è da un po’ che non ci sentiamo. Forse ce l’ha con me, deve aver sbirciato una sera nei miei appunti queste parole: “Proporre a Radio 2 Jack Folla, ma lui adesso è una ragazza di oggi, forse una nipote, la figlia del fratello capitalista che Jack odiava, non so. “Jackie” Folla, come Jackline ma senza un Onassis, magari con un Pepito accanto. Una ragazza sola e ribelle con un cane dalle stesse idee. O magari lei di destra lui di sinistra, o viceversa. Jackie Folla non avrebbe più bisogno di parlare alla radio rinchiusa nel braccio della morte. Alcatraz, per i giovani d’oggi, è dovunque ti giri. Rispetto a loro, merli e canarini in gabbia se la passano meglio. Infatti, fischiettano ancora”.
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antonella rossi
2 Dicembre 2020 at 16:17
ho apprezzato l’intervista di Marida Caterini. Le domande hanno messo in luce gli interessi dell’intervistato che ha risposto in modo semplice, concreto ed essenziale